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- La giurisdizione criminale in Tacito
Il rapporto tra principato e diritto si articola secondo il duplice binario di una ricerca di legalità legittimante e della lotta serrata contro i vincoli giuridici e psicologici di secoli di libertas repubblicana, fieramente avversa a una gestione personalistica dell'imperium. Tacito è molto sensibile alle istanze del diritto, di cui avverte l'incidenza in ogni attività umana, al punto che negli Annales traccia un ampio excursus diacronico sui suoi princîpi e l'infinita varietà delle leggi vigenti (3, 25-28). La sua idea è che alla singolarità e alla moltitudine delle disposizioni legislative corrisponda il moltiplicarsi dei casi giudiziari e, in definitiva, la possibilità da parte del regime di esercitare un controllo capillare sul dissenso. È così che, in un quadro di sconcertante incertezza del diritto, il processo penale diviene nelle mani dei principi un'arma potentissima per la repressione dell'opposizione senatoria. Il passaggio dalle quaestiones, riorganizzate nel I sec. a. C. da Silla, alle due nuove modalità di giudizio previste dalla neonata cognitio extra ordinem, facenti capo rispettivamente al tribunale imperiale e a quello senatorio, si rivela in ciò un elemento decisivo. È tuttora oggetto di discussione se, al contrario di quanto accadeva nelle quaestiones, in cui il giudizio doveva essere necessariamente avviato da un'accusatio formale presentata da quivis e populo, la procedura extra ordinem mantenesse questa impostazione procedurale, o piuttosto recasse un'impronta più marcatamente inquisitoria. Quel che è certo è che nella cognitio non esisteva più la pena fissa della giurisdizione ordinaria, ma la sua determinazione dipendeva dalle circostanze soggettive e oggettive del reato, da attenuanti e aggravanti, dal contegno e dalla condizione personale del reo, tutti elementi che implicavano una maggiore discrezionalità del giudicato rispetto al sistema dei iudicia publica, in cui la pena era rigidamente prevista dalla lex istitutiva della singola quaestio.
La fattispecie criminosa che all'inizio del principato incontra la maggiore evoluzione nel suo spettro previsionale è il repubblicano crimen maiestatis. Questa figura di reato, regolamentata dalla lex Iulia maiestatis secondo criteri nuovi, è usata dai principi come primo baluardo a difesa del loro imperium: ogni attacco contro il princeps, diretto, indiretto e a volte semplicemente pretestuoso, inclusa la semplice irreverentia, viene di fatto a rientrare nel reato di lesa maestà (impietas in principem).
Due realtà, pertanto, si vanno profilando nella giurisdizione criminale del primo secolo: da un lato un carattere tendenzialmente potestativo; dall'altro la conseguenza spontanea e inevitabile di ciò, ossia il fatto che, con singolare inversione, da un processo particolare scaturiscano divieti nuovi, come a integrare e specificare una normativa continuamente suscettibile di definizione.
Tacito, che pure giurista non è, recepisce questi moti convettivi donandoci pagine indelebili.