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- Quando la pietra scolpisce la mente
Neuroscienze e Semiotica dell’architettura delle comunità confinate
Anamorfòsi [dal gr. ἀναμόρϕωσις «riformazione», der. di ἀναμορϕόω «formare di nuovo»]. Che si tratti della cella di un carcere, di una camera di sicurezza, di uno stanzone di qualche anonimo centro in cui si esaurisce il tempo della speranza per le persone alle quali viene forzatamente, per giustizia, limitata la libertà personale, sempre lo spazio della privazione della libertà si configura come spazio muto, non in grado di comunicare alcuna ipotesi se non quella dell’attesa.
Spazio muto e sordo di chi vive nel timore di non essere ascoltato, ove alla intrinseca sconfitta che viene vissuta al suo interno, si contrappone l’apprensione per il futuro. Inutile negarlo: non vi è altro luogo, altra istituzione totale, ove non è all’uomo plasmare la pietra, ma è quest’ultima a piegare la mente. Le sindromi penitenziarie, la salute mentale (p)reclusa trovano oggi nelle neuroscienze quelle attese evidenze atte a disconfermare l’utilità del “pianeta carcere”.
Il volume si propone come uno spazio di riflessione proprio a partire dallo spazio della privazione della libertà, attraverso il suo essere un’anamorfosi non risolta e irresolubile, portando il lettore a interrogarsi sul punto di osservazione di tale spazio, a chiedersi quali differenze abbiano questi punti a seconda delle diverse figure che con esso hanno una relazione, sollecitando anche a interrogarsi sul senso del limite, ma anche sull’innato bisogno di tra(sgre)dire l’obbedienza.